Calvino e la Francia: storia di un amore mai finito
Fiche : Calvino e la Francia: storia di un amore mai finito. Recherche parmi 300 000+ dissertationsPar LAUGI • 12 Novembre 2023 • Fiche • 2 176 Mots (9 Pages) • 148 Vues
Calvino e la Francia: storia di un amore mai finito
Pare un destino comune ai grandi del nostro paese di venire adottati, nella fase finale della loro esistenza, dai cugini d’Oltralpe e di venire da questi ultimi ricordati, negli anniversari di nascita o morte, con altrettanti fasti.
Era già successo qualche anno fa, nel 2019, per il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, e in buona parte si è riproposto quest’anno, per il centenario della nascita di Italo Calvino – che, per la precisione, cade il 15 ottobre 2023. Celebrazioni, mostre, spettacoli e omaggi si sono susseguiti, come è normale, in Italia, dove si è voluto in svariati modi ricordare uno tra gli scrittori più insigni e significativi del secondo Novecento.
Ma non da meno è avvenuto in Francia, dove l’autore di Se una notte di inverno un viaggiatore ha trascorso gli anni della maturità artistica, nonché l’ultimo periodo della sua non lunga esistenza, interrottasi improvvisamente nel 1985 a causa di un ictus.
Gli anni parigini e l’Oulipo
Dal 1967 al 1980, infatti, Calvino ha abitato a Parigi. Una città che adora e da cui non si stacca “che per brevi periodi e dove forse, potendo scegliere”[1], vorrebbe morire. Una città che, per lui, “si consulta come un’enciclopedia: […] ti dà tutta una serie di informazioni, d’una ricchezza come in nessun”[2] altro luogo gli capita. Un posto in cui può illudersi “di essere invisibile”[3], e forse per questo trovarsi bene. In cui gli piace definirsi “un eremita”, pur se riveste un ruolo decisamente attivo nella sua vita culturale. Al punto da intessere rapporti molto stretti con l’élite intellettuale del tempo, da Roland Barthes a Claude Lévi-Strauss e François Le Lionnais a Georges Perec a - e soprattutto - Raymond Queneau.
Forse anche per questo i francesi lo sentono un po’ “loro”, Calvino. Forse anche per questo continuano ad amarlo e, quando ne parlano, ancora adesso si chiedono come mai, esattamente negli anni in cui scoppiava il fenomeno in Francia e la sua fama si espandeva nel resto del mondo, proprio in patria le sue opere erano criticate e accolte tiepidamente.
Ad esempio questo genere di quesiti se li pongono Marcel Bénabou (segretario definitivamente provvisorio e provvisoriamente definitivo dell'Oulipo, gruppo di ricerca letteraria di cui facevano parte, appunto, Perec, Queneau e lo stesso Calvino); Hervé Le Tellier (anche lui oulipiano nonché vincitore del premio Goncourt 2020) insieme con il giornalista Fabio Gambaro e lo studioso Michele Carini, specialisti dell’opera dello scrittore sanremese, durante uno dei diversi incontri a lui dedicati nell’ambito del Festival del Libro di Parigi dell’aprile scorso[4].
Con un’attitudine tra il rammaricato e l’incredulo, questi appassionati dell’opera calviniana si interrogano sui motivi per cui, dal loro punto di vista, l’apprezzamento dello scrittore sarebbe addirittura maggiore in terra francese che in patria. Come ricorda Gambaro nel suo Lo scoiattolo sulla Senna (Feltrinelli, 2023), dopo l'allontanamento politico dal PCI (in seguito ai fatti di Budapest) e culturale dal Neorealismo, Calvino in Italia aveva visto stroncare La giornata di uno scrutatore e le Cosmicomiche e si era ritrovato piuttosto isolato dopo la morte di Vittorini. Mentre a Parigi aveva trovato dei sodali ideali negli intellettuali dell'Oulipo, il cui nome significa Ouvroir de Littérature Potentielle (Sartoria di Letteratura Potenziale) e il cui incontro gli aveva dato la spinta per esternare la sua visione ludica dell’arte dello scrivere.
Ci si può chiedere se sia stata l’appartenenza ad un collettivo falsamente considerato espressione di una concezione della letteratura come puro gioco o astrazione ad aver inasprito gli spiriti dell’intellighenzia italiana dell’epoca, che prediligeva l’impegno e le tematiche “profonde”, sociali. Oppure semplicemente il fatto che il pubblico francofono non abbia dovuto fare i conti con quello che è stato percepito come un drastico cambiamento di rotta sul piano artistico, dal realismo impegnato degli esordi.
In ogni caso è indubbio che l’accoglienza riservata in Francia a Calvino è stata – e resta tuttora – delle migliori.
La ricezione dell’opera calviniana oltralpe
La Francia inizia a conoscere Calvino con Le Vicomte pourfendu – Il Visconte dimezzato, tradotto nel 1955, a soli 3 anni dall’uscita per Einaudi. Inizia a conoscerlo, cioè, direttamente con un’opera di fantasia, ben diversa dalle tematiche legate alla Seconda Guerra Mondiale e alla Resistenza del romanzo Il sentiero dei nidi di ragno o della raccolta Ultimo viene il corvo, che avevano determinato la sua fortuna in Italia.
Lo si apprezza per “un testo non impegnato e molto lineare, che ottiene immediato successo”[5] e che sarà seguito nel ’59 da Le baron perché (titolo che Calvino amava più di quello originale italiano, poiché invece che “rampante” lo definiva come il Barone dei “perché”, delle domande infinite). E da Il cavaliere inesistente (Le chevalier inexistant) nel ’62.
Insomma il pubblico francese non subisce il disorientamento di quanti, in Italia, ricercano la “continuità e la coerenza nelle opere di un autore”[6]. Ma non solo.
In Italia, storicamente parlando, il genere fantastico ha avuto, in particolare nell’800, scarso successo, e non si è mai veramente riusciti ad andare al di là dello stereotipo che lo vede come “fuga dalla realtà” e come inestricabilmente legato alla letteratura nordeuropea, quindi culturalmente distante da quella nostrana[7]. Altrettanto poca fortuna e limitato seguito ha avuto il romanzo filosofico alla Voltaire, autore che spesso la critica francofona ha associato a Calvino. Già in un articolo su Le Monde del 1962 si descriveva Calvino come un “narratore italiano nella tradizione di Voltaire: è ben un racconto alla Voltaire ciò a cui fa subito pensare Il Cavaliere inesistente, una storia ironica e buffa, ricca di mille peripezie e che serve da supporto all’autore per le critiche o le riflessioni che la società contemporanea gli ispira”[8].
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